Nell'affrontare la tematica acqua pubblica, non si può non parlare di “Democrazia partecipata”.
Il nostro Ordinamento nega infatti questo importante principio nel momento in cui non prevede un referendum propositivo (referendum che permetterebbe al corpo elettorale di proporre attraverso esso una nuova legge) e non applica i referendum abrogativi promossi ed approvati dal popolo. Tutti ricorderemo infatti l’ultimo referendum sulla gestione dell’acqua ed inerente le modalità di affidamento e la gestione dei servizi pubblici locali; la determinazione della tariffa del servizio idrico integrato in base all'adeguata remunerazione del capitale investito. Un referendum mai attuato dal legislatore e quindi dalle forze politiche.
Con quel referendum, il popolo poteva finalmente invertire quel senso di marcia che negli ultimi 15 anni aveva portato alla progressiva privatizzazione del servizio idrico, ma il suo potere è rimasto potenziale perché di fatto nulla è cambiato.
In Sicilia, ormai da anni i processi di privatizzazione dell’acqua hanno consentito a gruppi economici e consorterie territoriali di appropriarsi delle risorse idriche di una regione che possiede tanta acqua e per paradosso, ne patisce endemicamente la mancanza.
Ritengo che di programmazione e governo del territorio si dovrebbe invece occupare la politica e le rappresentanze istituzionali; tuttavia l’incapacità di gran parte dei nostri rappresentanti e l’astuzia di pochi altri hanno giustificato la privatizzazione indicandola come la risposta a costi ed inefficienze. In realtà, le esperienze di privatizzazione già attuate in alcune Regioni ed in Sicilia in particolare, non hanno determinato gli effetti auspicati, anzi negli anni si è assistito a rilevanti aumenti delle tariffe, a una riduzione della qualità e quantità degli investimenti e a un incremento dei consumi.
Il progetto di privatizzazione non è riuscito neanche a raggiungere l’obiettivo seducente che si era posto, quello cioè della modernizzazione dei servizi idrici; soprattutto in Sicilia l'EAS e le municipalizzate hanno gestito regolarmente impianti obsoleti, senza alcuna opera di rifacimento, dove quasi tutti gli invasi recano vistosi segni di incuria. Per non parlare poi dei risvolti che gli interessi economici di queste società hanno generato con il coinvolgimento di strutture finanziare lecite ed illecite.
Non scopro, infatti, l’acqua calda quando affermo che in parecchie delle società private che gestiscono il servizio idrico in Sicilia sono state riscontrate infiltrazioni mafiose che né curavano gli interessi.
Per capire meglio di cosa parliamo, sappiate che l’affare dell’acqua reca in Sicilia dimensioni inedite. Parliamo, infatti, di una gestione di 5,8 miliardi di euro da amministrare, con interventi a fondo perduto dell’Unione Europea per oltre un miliardo di euro.
Perfino, Il presidente della Regione Siciliana ha denunciato in commissione Antimafia che: “La gestione dei rifiuti e dell’acqua in Sicilia è in mano alla mafia”. Questo il quadro regionale che dimostra i limiti e i vincoli della privatizzazione.